Articolo pubblicato sulla rivista Vivere lo yoga n° 76, agosto-settembre 2017
Nel percorso di ricerca Yoga e Donna uno dei tanti testi antichi che abbiamo come riferimento è la Taittiyīya Upaniśad, dove appare la teoria dei cinque kośa – gli involucri che celano all’individuo la realtà del Brahman: “questo risplenderà nella sua pura spiritualità (…) con l’anima individuale soltanto quando i kośa siano stati allontanati” (Della Chiesa, Upaniśad, p. 282). Secondo il Vedānta, bisogna trascenderli per arrivare alla pura realtà dell’atman. Dal grossolano al sottile: l’involucro del ‘cibo’, cioè il corpo fisico annamaya-kośa, l’involucro dell’energia pranomaya-kośa, l’involucro della mente manomaya-kośa, l’involucro del discernimento intuitivo vijñānamaya-kośa e quello della beatitudine ānandamaya-kośa.
Le potenzialità
Il percorso intrapreso con Yoga e Donna va inteso come metodo per accettare, onorare e meditare su tutte le potenzialità della natura ciclica femminile. Il metodo è rigoroso e viene definito dal testo classico: gli Yoga Sūtra di Patañjali (YS), che come riferimento danno la direzione alla ricerca. Il YS I.2 “yogaś cittavṛttinirodhaḥ”, l’arresto definitivo delle cognizioni, definisce lo yoga, ma è direttamente collegato al YS I.12: “abhyāsavairāgyābhyāṁ tannirodhaḥ”, il loro controllo (le vritti), avviene tramite abhyāsa (una pratica costante per lungo tempo, senza interruzione, con fervore) e con vairāgya (distacco).
Senza negare le esigenze terrene, i kośa possono diventare degli strumenti di conoscenza, che accompagnano la nostra vita quando si impara a riconoscerli e a cogliere la loro interconnessione. Volendo risvegliare la consapevolezza più profonda si deve mettere a fuoco l’anatomia e la fisiologia del corpo fisico e pranico, i sette cakra e i nove cancelli o porte: due occhi, due orecchie, due narici, bocca, ano, uretra (Swami Niranjanananda, Prana, Pranayama, Prana vidya, 2002). Ma attenzione, quando si parla di nove cancelli si sta descrivendo il corpo maschile. È da notare la particolarità del corpo femminile che, oltre le nove porte del corpo maschile, ne ha altre tre: vagina e due capezzoli (Dinsmore-Tuli, 2014).
Esploriamo quindi i kośa secondo questa nuova interpretazione, nelle tre fioriture del femminile: dal bocciolo al fiore, dal fiore al frutto e dal frutto al seme, mentre i cakra saranno oggetto di una futura indagine.
Dal bocciolo al fiore
Cominciando ad esaminare annamaya-kośa nel periodo fertile, si deve necessariamente iniziare dalle caratteristiche peculiari della vagina. È una porta attiva in doppio senso: sia in entrata che in uscita. Quando si apre, sa accogliere il partner, si lascia penetrare e partecipa agli spasmi dell’orgasmo. Mensilmente, purifica globalmente tutto l’organismo, dal menarca fino allo stabilirsi della menopausa. Durante l’ovulazione, secerne un muco che parla del suo desiderio in base al colore e alla densità. Alla fine della gravidanza lo sa far nascere, quando la donna incinta è in sintonia con il bambino all’interno.
La mestruazione ha del sacro e del profano. È una specie di transizione dove non si è né incinte né fertili, contrariamente a quello che accade nel mondo dei mammiferi, dove l’estro coincide con la fertilità. L’involucro pranomaya-kośa è particolarmente attivo con l’evidenziarsi dell’energia femminile, che ha le sue caratteristiche da rispettare: lo stare, l’ascolto, la riflessione, il riposo, l’immobilità e il silenzio.
È interessante capovolgere il credo secondo cui la mestruazione causa disagi e dolori: è piuttosto necessario mettere a fuoco quanto invece rivela-svela della propria vita (Pope, La Wild Genie, 2013). Come sempre, d’altronde, il sintomo parla e rimanda ad altro da sé, come la cima di un iceberg non svela il grosso del suo corpo.
È un tempo in cui l’inconscio e il conscio si parlano più facilmente, in cui le soglie dei meccanismi di difesa ‘egoici’ si abbassano e così emergono, a viva voce, quelle parti normalmente represse e/o socialmente inaccettabili.
Diventa un tempo per uscire dalla scena, per essere fra due mondi, un tempo per liberarsi. I kośa comunicano perché la purificazione è globale: sia fisica che emotiva. È il manomaya-kośa che ci parla, se lo si sa ascoltare con un giusto atteggiamento mentale: l’essere testimone con un silenzio interiore (antar mouna).
Il vissuto della mestruazione ricorda quello che normalmente accade nello stato di coscienza tra il sogno e la veglia, quando si ricordano i sogni: “emergono delle ispirazioni piacevoli e soluzioni a difficoltà” (Pope, La Wild Genie, 2013). Non dipendono dalla propria volontà, perché sono delle profonde intuizioni che attingono all’involucro vijñānamaya-kośa.
Questo stato si può chiamare ‘sapere lunare’, e andrebbe riconosciuto come una profonda risorsa, una guida interiore, che nella donna si presenta naturalmente, se viene accolta.
Si crea un salto di livello, un orizzonte si apre, nel percorso della consapevolezza, quando si capiscono le ricorrenze tra i kośa nelle varie fioriture in base al periodo della propria vita.
Si potrebbe tenere un diario riguardo alle proprie osservazioni nei due periodi più intensi di annamaya-kośa: subito prima e durante sia la mestruazione che l’ovulazione, anche in rapporto alla luna. Scrivere diventa un’elaborazione di autoconoscenza che permane oltre la ciclicità fisiologica.
Le donne che hanno superato la ciclicità mensile, che sono in menopausa, potrebbero usare i cambi più sentiti della luna (piena e nuova) come riferimento. Le reazioni del corpo fisico sono quelle più comunemente osservabili. È importante non fermarsi al primo kośa ma continuare ad approfondire la ricerca, osservando e prendendo coscienza degli altri involucri man mano sempre più sottili, come il corpo energetico, mentale e intuitivo.
Dal fiore al frutto
Non credo ci sia periodo più rivelatore della stretta interconnessione tra i due kośa del corpo e della mente come la gravidanza. I tempi di reazione del rapporto sono particolarmente ravvicinati per cui, ad esempio, un disturbo intenso come l’ambiguità del manomaya-kośa nell’accettazione della gravidanza si riversa sul piano fisico dell’annamaya-kośa, con vari disagi, quasi in tempo reale. Dato il rapporto così simbiotico, funziona anche la direzione al contrario: dal corpo fisico si può infatti raggiungere favorevolmente il piano mentale tranquillizzandolo attraverso la pratica dello haṭha yoga.
Spesso le donne incinte e in carriera hanno difficoltà a rallentare e a rispettare i dettami dello stare ‘dentro’ seguendo i bisogni del nascituro, nel dare ascolto all’energia femminile del pranomaya-kośa. Non le è facile seguire ahiṃsā, l’osservanza della non violenza verso se stesse, per creare spazio al bambino, già presente con i suoi tempi e i suoi modi. Strapazzarsi fino alla fine, cedendo all’ansia dell’arrivo del parto come se fosse una scadenza ultima, andando sempre oltre i propri limiti del riposo necessario, crea disagio. Spesso infatti si considera il parto un traguardo di ‘arrivo’, mentre di fatto è solo l’inizio del rapporto reale con il neonato. Arrivare al parto stanche non è una partenza ideale per accudire un neonato totalmente bisognoso.
Se la donna crea le condizioni per ascoltarsi, l’involucro vijñānamaya-kośa è molto presente, e può intuire cosa è meglio per lei e per il suo bambino, durante la gravidanza, il parto e nel dopo parto.
Dal frutto al seme
Nella premenopausa il terreno trema, i cambiamenti ormonali destabilizzano e se ci si arriva con un eccessivo stress accumulato, i sintomi della transizione possono essere amplificati.
Liberarsi della ciclicità che marca la presenza della propria fertilità è una gioia… se affrontata con la giusta presenza. Si rinasce quando ci si concede la spazio per dedicarsi a sé stesse, invece di accudire sempre i propri cari, dando loro sempre la priorità a scapito dei propri bisogni. Una volta assestata la menopausa, l’involucro vijñānamaya-kośa, prima presente solo in alcuni giorni del ciclo, si manifesta ora in modo permanente, ecco perché si può parlare di ‘saggezza’ della menopausa.
Lo stress ci avviluppa quando si è costantemente sollecitati ad agire in modo finalizzato, secondo un ‘energia maschile, con tempi stretti creando affaticamento e dispersione mentale dei due kośa (corpo-mente). Per meglio equilibrare questa tendenza, una soluzione la si trova nel dare valore e spazio all’energia femminile del pranomaya-kośa. Per concludere, lo scopo di questa prospettiva non vuole essere un’esaltazione in sé dell’essere donna, quanto di sviluppare la consapevolezza più profonda del dono della vita che passa attraverso di noi e si manifesta nei kośa. Essi vanno per questo esplorati e riscoperti anche al femminile in una pratica assidua, senza interruzione per un lungo tempo con fervore (abhyāsa) e con distacco interiore (vairāgya).